«Ho recitato il tuo nome come un mantra fino a quando
le parole hanno perso i sensi, e anch’io.
Addio».
A ognuno il suo addio: lo comprende bene Nina Dermar, responsabile di una casa editrice, quando cerca uno scrittore di sesso maschile per redigere lettere d’addio. E di addii sembra intendersene bene Peter Faraway che si rivela l’uomo giusto per questo difficile compito: «Per mestiere scrivo qualsiasi cosa. Per vocazione lascio quasi tutto».
Ironico e malinconico allo stesso tempo, il Catalogo degli addii (et al./EDIZIONI, di Marina Mander e Beppe Giacobbe) è un bellissimo e ben curato romanzo per immagini che ogni tanto mi ritrovo a sfogliare.
«Come saprà meglio di me, gli uomini non lasciano lettere d’addio, preferiscono andarsene di soppiatto, dileguarsi. Noi abbiamo pensato di offrire loro uno stimolo, qualche spunto per addolcire la pillola»: queste le parole di risposta di Nina alla candidatura di Peter.
«Il tuo ricordo si è scordato piano piano, poi, con uno starnuto, è uscito del tutto. Addio».
«Il mare non si può fermare. Addio».
«Abbandonarsi o abbandonare? Purtroppo io sono transitivo. Addio».
«La distanza tra ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere mi porta già altrove. Addio».
«Ogni amore inizia con una fantasticheria e finisce con un “invece”. Addio».
«L’addio si insinua un po’ alla volta, e un giorno dilaga, dappertutto».
È un’idea originale quella di Marina Mander che porta il lettore a rimanere sorprendentemente coinvolto in una storia parallela che si viene a creare tra Nina Dermar e Peter Faraway: forse un sottile messaggio per dire che tra un addio e l’altro non c’è mai il vuoto, ma la possibilità di costruire una nuova storia?
Ma a questa nuova storia seguirà l’ennesimo addio?